Quando un intervento può qualificarsi di ristrutturazione edilizia?
Affinché un intervento sia di ristrutturazione edilizia deve potersi procedere, con sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio (da ristrutturare), in modo tale che, seppur in parte diruto, ovvero non abitato o abitabile, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale in relazione anche alla sua destinazione. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez, VI, sentenza 16 ottobre 2019, n. 7046.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2019, n. 6544 Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2019, n. 38611 |
Difformi | |
Il fatto
Il Consiglio di Stato, adito per la riforma della sentenza del Tar Campania, Salerno, sez. II, n. 796/2016, resa in tema di diniego di un’autorizzazione paesaggistica, interviene in merito ad una vicenda nella quale la competente Soprintendenza aveva espresso parere negativo – a fronte della richiesta di un permesso di costruire per l’esecuzione di lavori di consolidamento statico e adeguamento funzionale di un fabbricato (a destinazione abitativa) ubicato in area soggetta a vincolo paesaggistico – sul presupposto che l’intervento, avendo ad oggetto un immobile diruto e privo dei suoi elementi strutturali, non sarebbe stato ammissibile in quanto attraverso di esso si sarebbe realizzata una nuova costruzione (non consentita sull’area interessata).
La decisione del Consiglio di Stato
Avuto riguardo alla vicenda sottoposta al suo esame il Consiglio di Stato osserva come la ristrutturazione edilizia (art. 3, I, lett. d, D.P.R. n. 380/2001) presupponga, quale elemento indispensabile, un fabbricato preesistente che sia ben identificabile e nella sua consistenza, e nelle sue caratteristiche planivolumetriche e architettoniche.
Quanto al concetto di fabbricato preesistente si è osservato come esso postuli che “possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione” (Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).
Quanto alla materiale attività di ristrutturazione essa può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi (manutenzione straordinaria; restauro o risanamento conservativo) o alla nozione di opere interne; l’elemento caratterizzante della ristrutturazione è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente, ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2019, n. 6544).
Ciò che, dunque, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che –come anticipato- possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non “fedele” (termine espunto dall’attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e, nell’ipotesi di immobili vincolati, anche della sagoma della costruzione preesistente (Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1725).
In sostanza, rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2017, n. 16268).
Peraltro “la ristrutturazione edilizia si caratterizza anche per la previsione di possibili incrementi volumetrici, … nel senso che l’aumento di cubatura deve essere senz’altro contenuto, in modo da mantenere netta la differenza con gli interventi di nuova costruzione” (Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2019, n. 38611).
Secondo una consolidata giurisprudenza amministrativa l’ipotesi di ristrutturazione edilizia per demolizione e ricostruzione presuppone, quale elemento indispensabile, la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire.
Non è sufficiente quindi che si dimostri che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione; occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente abitato o abitabile, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2019, n. 6666).
Da parte sua, la giurisprudenza penale è ferma nel ritenere che gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti per i quali non sia possibile accertare la preesistente consistenza non sono qualificabili come ristrutturazione edilizia e sono assoggettati al regime del permesso di costruire (Cass. pen., sez. III, 30 settembre 2014, n. 40342).
Sotto un diverso e concorrente profilo, la nozione di ristrutturazione ora in rassegna deve essere ancorata a due fasi – quella di demolizione e quella di ricostruzione – che siano temporalmente contestualizzate nell’ambito di un intervento tendenzialmente unitario, nel senso che la ricostruzione deve essere effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1177).
Si vedano ancora i seguenti arresti della giurisprudenza:
– “è necessario, …, affinché rilevi una ristrutturazione, che tra la vecchia e la nuova edificazione sussista un evidente rapporto di continuità, anche laddove vi sia una trasformazione dell’immobile preesistente.” (Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2019, n. 4178); – “La nozione di “ristrutturazione edilizia” ha subito nel tempo modifiche e aggiustamenti, sempre funzionali alla finalità ad essa naturaliter sottesa di incoraggiare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, così da ricomprendervi espressamente anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, in passato affidata all’elaborazione pretoria. Benché, in particolare, l’ipotesi di ricostruzione di un manufatto demolito o crollato sia stata espressamente inserita del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, solo a seguito della novella allo stesso apportata ad opera della L. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del D.L. n. 69 del 2013, essa risultava già ammessa in ambito pretorio, ancorché con precise delimitazioni oggettive” (Cons. Stato, sez. II, 26 agosto 2019, n. 5871); – “è … ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (…). In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata” (Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2019, n. 6188). |
Il Consiglio di Stato, nella sentenza qui in esame, inserendosi nel solco di questa giurisprudenza, conferma l’impugnata sentenza del G.A. di prime cure che, avuto riguardo al caso concreto, aveva affermato, in punto di diritto, il principio secondo cui: “può parlarsi di ristrutturazione e restauro conservativo in tutte le ipotesi di lavori afferenti a edifici già esistenti e individuabili nella loro struttura e caratteristiche, anche se in parte diruti, mentre solo nei casi in cui non sia affatto possibile individuare il manufatto originario, quantomeno nei suoi connotati essenziali, deve parlarsi di nuova costruzione”.
Consiglio di Stato, sez, VI, sentenza 16 ottobre 2019, n. 7046
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