Il condominio negli edifici è una delle forme più diffuse di proprietà che, però, non è definita normativamente in alcuna disposizione del codice civile.
In realtà, esso è una forma speciale di comunione su un bene immobile che si caratterizza per la coesistenza di parti di proprietà esclusiva e parti di proprietà comune. Focalizzando l’attenzione sui beni comuni, propriamente condominiali ed elencati dall’art. 1117 c.c., si sottolinea come essi siano finalizzati al soddisfacimento di una funzione comune e siano, pertanto, di norma indivisibili ai sensi dell’art. 1119 c.c..
Tale norma tuttavia, ammette la possibilità che si proceda a divisione a condizione che ci sia il consenso di tutti i partecipanti e che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino. Accanto a tale divisione si pone quella c.d. giudiziale delle parti comuni.
Questo quadro normativo solleva notevoli problemi interpretativi che cercheremo di analizzare partendo proprio dalla seconda ipotesi.
In relazione alla divisione giudiziale, infatti, ci si chiede se sia necessario il requisito del consenso di tutti i condomini. Secondo la Corte di Cassazione [sent. n. 867, sez. II del 23/01/2012] la risposta da fornire al quesito è negativo. La ratio dell’art. 1119 c.c., secondo gli Ermellini, è infatti rapportabile alla sola divisione volontaria, mentre per quella giudiziaria l’unico limite è rappresentato dalla circostanza che la divisione possa essere effettuata senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.
D’altronde a favore di tale soluzione militano ragioni di coerenza normativa e sistematica posto che ai sensi dell’art. 61 e 62 disp. att. c.c. è possibile che pochi (non tutti i) condomini chiedano all’Autorità Giudiziaria lo scioglimento dell’intero condominio; a fortiori deve ritenersi non necessaria l’unanimità per la più semplice operazione di divisione di singoli beni condimoniali.
Nel caso in cui ci sia dissenso dei condomini, pertanto, si può chiedere all’Autorità Giudiziaria di procedere alla divisione del(i) bene(i) comune(i)che per essere realizzata, dovrà rispettare la condizione precedentemente indicata; se vi è consenso di tutti i condomini, invece, la divisione potrà essere effettuata anche stragiudizialmente con un contratto.
Ma, in questo secondo caso, è necessario rispettare il requisito previsto dall’art. 1119 c.c. essendo pertanto necessario valutare se a seguito della divisione l’uso del bene e la sua utilità possano essere garantiti a tutti i condomini? In realtà, nella decisione allegata, la Cassazione fornisce al quesito risposta negativa [Cass. civ. sez. II ord. n. 216/2024].
Quindi l’accordo delle parti raccolto in una scrittura privata o in un atto pubblico ex art. 1350 c.c. può anche determinare una divisione che renda incomodo l’uso a uno dei condomini.
Di fronte alla necessità di dividere un bene comune condominiale le strade sono, dunque, due: consenso di tutti i condomini che può anche rendere più incomodo l’uso ad uno o alcuni condomini [ad esempio la divisione di una terrazza può privare totalmente un condomino della veduta panoramica goduta nello stato di indivisione]; o, in assenza di accordo di tutti i condomini per la divisione, possibilità per quelli in accordo di chiedere che la stessa sia effettuata da un giudice ma senza oltrepassare il limite previsto dall’art. 1119 c.c..
Avv. TOMMASO GASPARRO
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