Barriere architettoniche in condominio
Le opere necessarie per eliminare le barriere architettoniche sono di fondamentale importanza per la vivibilità dell’appartamento con la conseguenza che, nel valutare la legittimità o meno dell’installazione di un ascensore nel vano scale da parte del singolo condominio, si deve tenere conto del principio di solidarietà, secondo cui la coesistenza di più unità immobiliari implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra cui deve includersi anche quello delle persone disabili. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 marzo 2020, 1682
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 23076
Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8225 |
Difformi | Non si rilevano precedenti |
Il fatto
Al Consiglio di Stato è chiesto di pronunciare la riforma della sentenza resa dal Tar Lombardia, sez. II, n. 2065/2018 la quale, in via di estrema sintesi, aveva affermato che per l’installazione di un ascensore all’esterno di un condominio non era necessario il permesso di costruire precisando, contestualmente, che un tale intervento non potesse comunque prescindere dal consenso della maggioranza dei condomini (ex art. 1120 cod. civ.). In altro passo della impugnata sentenza il Giudice di prime cure dubita della sussistenza dei requisiti soggettivi (e cioè a dire della disabilità) in capo ad almeno uno dei comproprietari che aveva richiesto la realizzazione dell’opera.
La decisione del Consiglio di Stato
I Giudici di Palazzo Spada riformano l’impugnata sentenza osservando che:
1) l’installazione di un ascensore è intervento atto ad eliminare le barriere architettoniche che, in quanto tale, non necessita del previo consenso del condominio;
2) la normativa di riferimento (Legge n. 13 del 1989) non presuppone la qualità di disabile in capo all’istante giacchè ad avvantaggiarsi dell’eliminazione / riduzione delle barriere sono tutti coloro i quali lamentano una ridotta (o addirittura impedita) capacità motoria, sia essa permanente oppure temporanea.
In materia si consideri che la Corte Costituzionale (sentenza n. 167/1999) ha sottolineato come la Legge n. 13/1989 non si sia limitata ad innalzare il livello di tutela in favore dei portatori di handicap ma abbia segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, tali da dover essere assunti dall’intera collettività (v. anche Cass. civ., n. 18334/2012).
Con la Legge citata – nonché con la Legge n. 104/1992 – sono state infatti introdotte disposizioni generali per la costruzione di edifici privati, e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili.
Quindi, l’installazione dell’ascensore, come di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l’accessibilità, adattabilità e visitabilità degli edifici, costituisce un elemento che deve necessariamente essere previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici.
Nella valutazione del Legislatore, l’ascensore ed i congegni similari – ma, negli edifici con più di tre livelli fuori terra solo l’ascensore – costituiscono una dotazione imprescindibile per l’approvazione dei relativi progetti edilizi potendo dunque fondatamente ritenersi che, sulla base della legislazione vigente, l’esistenza dell’ascensore è funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento e rivesta pertanto carattere essenziale.
In ambito condominiale (settore in riferimento al quale si pronuncia il Consiglio di Stato con la sentenza qui in esame) l’installazione di un ascensore deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento e rientra, pertanto, nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell’art. 1102 c.c., esigendo il rispetto dei soli limiti dettati da detta norma, comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune o impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. civ., n. 14809/2014).
Ancora si è precisato in giurisprudenza che “l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, Legge n. 13 del 1989, ex art. 2, commi 1 e 2, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., commi 2 e 3, (ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap), comunque osservando i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2 (Cass. Sez. 6 – 2, 09/03/2017, n. 6129; Cass. Sez. 2, 25/10/2012, n. 18334; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930)” (Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 23076).
La stessa Legge n. 13 del 1989, art. 2, stabilisce invero che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, fermo quanto disposto dall’art. 1120 c.c., comma 4, e art. 1121 c.c., comma 3 (all’esito delle modifiche introdotte dalla Legge 11 dicembre 2012, n. 220).
Nel valutare il contrasto delle opere, cui fa riferimento la Legge n. 13 del 1989, art. 2, con la specifica destinazione delle parti comuni, sulle quali esse vanno ad incidere, occorre tenere conto altresì del principio di solidarietà condominiale, nel senso che: “in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, …, trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari. Pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sè il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali” (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334).
Ai fini della legittimità dell’intervento innovativo approvato ai sensi della Legge n. 13 del 1989, art. 2, è sufficiente, peraltro, che lo stesso produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. civ., ord. n. 18147/2013).
Con la recente sentenza del 9 gennaio 2020 resa dal Tribunale di Teramo la giurisprudenza di merito è intervenuta sulla materia ribandendo che “in tema di eliminazione delle barriere architettoniche la Legge n. 13 del 1989 è espressione di un principio di solidarietà sociale, volta a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici”.
Si vedano ancora i seguenti arresti della giurisprudenza:
– “ai sensi dell’ art. 4 della Legge n. 13 del 1989, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche previste dall’art. 2 della stessa legge, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, dovendosi intendere come tali non solo quelle portatrici di disabilità, ma anche le persone che soffrono di disagi fisici e difficoltà motorie, possono essere effettuati anche su edifici sottoposti a vincolo come beni culturali, sicché l’autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza pregiudizio del bene tutelato” (Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8225);
– “la normativa di favore di cui alla Legge n. 13 del 1989 si applica anche quando si tratti di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie. La legge in questione infatti, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie invalidità devono essere assunti dall’intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali” (Cons. Stato, sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824).
Riferimenti normativi:
Legge n. 13 del 1989
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 marzo 2020, 1682
0 commenti