Ago 24, 2019 | Condominio, Le nostre News

Cortile condominiale dissestato: chi cade non ha diritto al risarcimento se conosce bene il luogo

Cortile condominiale dissestato: chi cade non ha diritto al risarcimento se conosce bene il luogo

La responsabilità ex art. 2051 c.c. richiede la prova del fatto dannoso e del nesso di causalità del danno con la cosa in custodia; tale prova non può dirsi raggiunta quando le condizioni dei luoghi non siano tali da costituire una pericolosità intrinseca della cosa, né quando vi è prova di una condotta imprudente del danneggiato che, essendo pienamente in condizioni di farlo, non ha posto in essere le dovute cautele nell’uso della cosa. A confermarlo è la Cassazione con ordinanza n. 18319 del 9 luglio 2019.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. civ. sez. III, 25 luglio 2008, n. 20427

Cass. civ. 11 marzo 2011, n. 5910

Cass. civ. sez. III, 19 maggio 2011, n. 11016

Cass. civ. sez. III, 21 marzo 2013, n. 7125

Cass. civ. sez. VI, 18 dicembre 2015, n. 25594

Cass. civ. sez. VI 7 gennaio 2016, n. 56

Trib. Napoli sez. I, 6 settembre 2004

Difformi Cass. civ. 22 settembre 2009, n. 20415

La pronuncia in commento ha ad oggetto l’annosa questione riguardante il regime probatorio nell’ambito del risarcimento del danno cagionato da cose in custodia

L’art. 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

Attualmente, secondo l’interpretazione maggioritaria, il custode è chiamato a rispondere anche dei danni derivanti da beni che sono inerti e non pericolosi (cfr. Cass. civ. n.10641/2002), mentre in passato, era necessariamente richiesta solo l’intrinseca pericolosità della cosa quale elemento costitutivo della responsabilità.

La responsabilità ex art. 2051 c.c. si configurerebbe – secondo un primo orientamento – per la semplice esistenza di una relazione tra la cosa e l’evento dannoso; secondo altro orientamento, invece, i presupposti della responsabilità da cose in custodia sono l’alterazione della cosa (c.d. insidia o trabocchetto) nonché l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto danneggiato.

Dopo i primi arresti giurisprudenziali che individuavano il fondamento della responsabilità nella negligenza del custode in ordine alla sorveglianza della cosa, dottrina e giurisprudenza si sono dirette verso la tesi della natura oggettiva di tale responsabilità; sin dagli anni ’90, la giurisprudenza ha chiaramente affermato la natura oggettiva della responsabilità per danno da cose in custodia, spostando l’analisi dalla “colpa nella custodia” al “rischio da custodia”.

È importante, nell’esame della disciplina relativa al danno da cose in custodia, tenere sempre a mente il principio di diritto affermato dalle sentenze gemelle del 2006 (Cass. civ. nn. 15383 e 15384 del 6 luglio 2006), in virtù delle qual: “la responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia … ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata) ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiato”.

Secondo risalente orientamento minoritario (Cass. civ. 22 settembre 2009, n. 20415) il custode non è liberato dalla semplice prova delle buone condizioni di manutenzione della cosa e dell’uso improprio da parte del danneggiato, dovendo altresì dimostrare che tale utilizzazione era assolutamente inusuale e quindi imprevedibile, così che la condotta del danneggiato ha proprio interrotto il nesso causale tra la cosa e l’evento, che non si sarebbe potuto evitare neanche mediante l’adozione da parte del custode delle più opportune cautele; in virtù di tale orientamento, comunque minoritario, l’onere probatorio in capo al titolare dell’esercizio del potere sulla cosa sarebbe molto più rigido rispetto a quello attualmente richiesto.

Il concetto di caso fortuito, non ha – nell’ambito della disciplina della responsabilità da cose in custodia – una definizione normativa vera e propria; esso, come abbiamo visto finora, viene identificato con quell’evento che non poteva essere in alcun modo previsto o che, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo evitato. Il fortuito libera da responsabilità il custode ogni qualvolta sia dotato di un autonomo impulso causale, in modo tale da consentire di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno che concretamente si è verificato (cfr. Cass. civ. n. 5796/1998).

In applicazione dell’art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiatosi ritiene integrato il fortuito, con conseguente esclusione del nesso causale tra il danno e la cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento (cfr. Cass. civ. n. 23584/2013).

Il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità oggettiva può rinvenirsi anche nella condotta del terzo, o dello stesso danneggiato, quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo; tuttavia, per integrare l’esimente, tale condotta deve assumere un’efficacia causale esclusiva nel cagionare il danno, la quale “si verifica quando il fatto del terzo, o del danneggiato, si atteggi… in termini di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità, così da risultare in definitiva idoneo a produrre da solo l’evento lesivo, cioè escludendo fattori causali concorrenti” (cfr. Cass. civ. sez. III, 18 settembre 2015, n. 18317; Cass. civ. sez. III, 22 giugno 2016, n. 12895).

Volendo riassumere i differenti oneri probatori gravanti sulle parti in un giudizio per risarcimento del danno exart. 2051 cod.civ., può dirsi che l’attore (il danneggiato) deve provare il nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo, nonché, ovviamente, l’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa in capo al soggetto cui viene chiesto il risarcimento del danno. Il custode convenuto, invece, dovrà dimostrare l’esistenza di un fattore estraneo, autonomo, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e il danno, ivi compreso il fatto del terzo ovvero il fatto del danneggiato, purché questo non rappresenti l’unica causa esclusiva del danno (cfr. Cass. civ. n. 4279/2008); in altre parole, dovrà dimostrare il famigerato caso fortuito di cui abbiamo parlato finora.

Venendo al caso concreto, oggetto di pronuncia da parte della Suprema Corte, esso riguarda una signora che è caduta all’interno del cortile del condominio in cui vive la figlia; la caduta sarebbe avvenuta su un pavimento dissestato, privo di segnaletica ed in condizioni di scarsa illuminazione.

Già in passato la giurisprudenza di merito (Trib Napoli sez. I, 6 settembre 2004) in un caso simile (condomino inciampato in una mattonella della pavimentazione del viale condominiale, sollevatasi per effetto della fuoriuscita dal terreno delle radici di alberi ad alto fusto) ha escluso la responsabilità del condominio, ritenendo che il danneggiato, con un comportamento più diligente, avrebbe senz’altro potuto evitare il danno, stante la scarsa pericolosità intrinseca dell’ostacolo rappresentato dal sollevamento della pavimentazione del viale condominiale, nonché la sua prevedibilità dovuta alla conoscenza, presumibilmente perfetta, dello stato dei luoghi da parte dell’attore.

Gli Ermellini, con una sentenza breve ma estremamente chiara, non entrano nel merito della questione, limitandosi a confermare il giudizio della Corte d’appello e a dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla danneggiata, poiché la pronuncia del giudice di secondo grado, ricorrendo a una motivazione completa e priva di motivi di censura, avrebbe correttamente escluso che la danneggiata sia riuscita a fornire la prova del nesso causale tra la cosa e il danno, proprio perché le condizioni dei luoghi “non erano tali da costituire una pericolosità intrinseca della cosa”.

Secondo i giudici di Piazza Cavour la Corte, inoltre, proprio alla luce dell’assenza di intrinseca pericolosità in capo al pavimento dissestato del piazzale condominiale, ha giustamente ritenuto integrabile, nel caso in esame, il fortuito, rappresentato dall’evitabilità dell’evento da parte della ricorrente; la stessa, infatti, conosceva o doveva conoscere lo stato dei luoghi, in quanto il condominio era ed è da lei abitualmente frequentato, essendo luogo di abitazione della figlia.

Se la ricorrente, perciò, avesse percorso il piazzale dissestato, di cui era perfettamente a conoscenza, con la dovuta diligenza, non sarebbe caduta e non avrebbe subito il danno alla salute lamentato, comunque non imputabile al condominio.

Per poter analizzare con completezza la vicenda, sarebbe stato opportuno avere a disposizione le sentenze di primo e secondo grado, oltre ai verbali di causa; purtroppo la Suprema Corte, nel tacciare di inammissibilità la maggior parte dei ricorsi proposti (quasi come se gli Avvocati avessero d’improvviso dimenticato come si redige in maniera corretta un ricorso per Cassazione) ci ha abituati a sentenze sicuramente complete ed esaustive sotto il profilo della legittimità, ma sempre più scarne sotto il profilo dei richiami al giudizio di merito; è vero che gli Ermellini non possono entrare nel merito del ricorso, ma, anche e soprattutto ai fini di una migliore comprensione ed applicazione dei principi enunciati alle fattispecie concrete, qualche riferimento in più relativo alle pronunce di merito sarebbe utile all’operatore del diritto.

Riferimenti normativi:

art. 2051 cod.civ.

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 9 luglio 2019, n. 18319

 

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