Il silenzio assenso in edilizia: la giurisprudenza più recente
Il silenzio assenso nel rapporto tra amministrazione e privato in materia edilizia si colloca nell’ambito della più ampia “materia” della semplificazione amministrativa.
Premessa e inquadramento normativo
La formazione del silenzio – assenso: presupposti e limiti di applicabilità. In particolare, nell’ambito del permesso di costruire
..e con riferimento al condono edilizio
L’ illegittimità del provvedimento tardivo di rigetto
Scia edilizia condizionata da autorizzazione paesaggistica: riflessi sul silenzio – assenso
Premessa e inquadramento normativo
A tale specifico riguardo, l’articolo 20, comma 8, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, c.d. Testo Unico Edilizia, modificato da ultimo ad opera del D.Lgs. n. 127 del 2016, prevede espressamente che “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Come noto, la succitata disposizione introduce una modalità alternativa semplificata di tipo “rimediale” all’inerzia amministrativa per il conseguimento dell’autorizzazione edilizia anelata, posta nell’interesse del privato, che attende il provvedimento.
Detta forma di silenzio assenso, pertanto, non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato.
Difatti, resta ferma l’irrinunciabilità da parte del privato dell’atto esplicito e formale.
Segnatamente, l’articolo 20 del Testo Unico, descrive il procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire scandagliandolo in susseguenti fasi.
In primo luogo, il primo comma della norma postula che la domanda deve essere presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il tiolo di legittimazione e dagli elaborati progettuali richiesti.
Lo stesso comma, aggiunge che “la domanda è accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-.sanitarie”.
L’istruttoria del procedimento, così come dispone il successivo comma terzo, nel suo primo inciso, è affidata al responsabile del procedimento, il quale entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, cura l’istruttoria e formula una proposta di provvedimento corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico – giuridica dell’intervento richiesto.
Tuttavia, il medesimo comma terzo, secondo inciso, prosegue affermando che qualora sia necessario acquisire ulteriori atti di assenso, comunque denominati, resi da amministrazioni diverse, si procede secondo la normativa in materia di conferenza di servizi in ossequio agli articoli 14 e seguenti della Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Legge sul procedimento amministrativo).
Il comma quarto dispone, invece, che:
i) il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, nello stesso termine di cui al comma 3, richiedere tali modifiche illustrandone le ragioni; ii) l’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni; iii) la richiesta in esame sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di conclusione del procedimento amministrativo. |
Con riferimento al termine di cui al succitato comma terzo, il comma quinto dispone che:
i) il suddetto termine può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente; ii) in tal caso, il termine comincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa. |
Da ultimo, il comma sesto, primo inciso, dispone che il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all’interessato, è adottato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio, entro il termine di trenta giorni dalla suddetta proposta.
Tuttavia, il secondo inciso del suddetto comma precisa che, qualora sia indetta la conferenza di servizi di cui al medesimo comma, la determinazione motivata di conclusione del procedimento è, ad ogni effetto, titolo per la realizzazione dell’intervento.
La formazione del silenzio – assenso: presupposti e limiti di applicabilità. In particolare, nell’ambito del permesso di costruire
Il silenzio – assenso in materia edilizia, quale regola “alternativa” rispetto a quella generale di formazione di un provvedimento espresso in seno all’articolo 20, comma 8, del Testo Unico, soggiace, ai fini della sua formazione tecnico – giuridica, a stringenti condizioni di applicabilità.
Va preliminarmente evidenziato che il silenzio – assenso, in quanto istituto avente valore di provvedimento tacito di accoglimento “vincolato”, non può dirsi validamente formato in difetto dei presupposti richiesti ai fini della conformità urbanistico/edilizia.
Ed invero, il Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2016 n. 3805 ha puntualmente osservato che “il decorso del tempo, senza che l’amministrazione abbia provveduto, rende sì possibile l’esistenza di un provvedimento implicito di accoglimento dell’istanza del privato, però a condizione della «… piena conformità delle opere in materia urbanistica”.
In particolare, in forza di quanto enunciato da T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 07-11-2018, n. 1034 “il silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire non può formarsi ove manchi la documentazione indefettibilmente necessaria o l’allegazione dei presupposti necessari per la realizzazione dell’intervento edilizio, dato che l’eventuale inerzia dell’Amministrazione non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso”.
Sotto questo profilo, si deve sottolineare come la giurisprudenza del Consiglio di Stato abbia costantemente ribadito il principio in forza del quale “affinché il relativo assetto dato si possa dire legittimo, occorre che sussistano tutte le condizioni normativamente previste per la sua emanazione, non potendosi ottenere per silentium, quel che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte della P.A.(cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1828 del 2017;Cons. Stato, sez. IV, n. 3805 del 2016 cit.; sez. V, 27 giugno 2006 n. 4114; 20 marzo 2007 n. 1339; 12 marzo 2012 n. 1364)”.
Sulla pienezza della domanda di rilascio del permesso di costruire si è pronunciato, da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, 07-01-2019, n. 113, laddove ha statuito che “In materia di permesso di costruire, la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dall’Amministrazione, ma la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista”.
I suddetti principi giurisprudenziali inducono a ritenere come, d’altro canto, la necessità del possesso dei requisiti di volta in volta prescritti – perché possa parlarsi di legittimo provvedimento implicito di assenso – risulta dalla stessa L. 7 agosto 1990, n. 241.
In proposito, l’articolo 21, comma primo, della predetta legge prescrive che, nei casi previsti dai precedenti articoli 19 e 20, l’interessato debba “dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti”.
Siffatto inciso, infatti, deve essere interpretato nel senso di ritenere che la sussistenza delle condizioni e presupposti deve riguardare l’integralità della domanda e, dunque, il complessivo contenuto del provvedimento richiesto”.
In ordine al profilo in esame, la giurisprudenza ha evidenziato chiaramente come “In tema di costruzioni e concessione edilizia, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti per l’accoglimento. Il silenzio-assenso non può formarsi in mancanza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio” (tra le tante, si veda T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste Sez. I, 18-03-2019, n. 125).
Inoltre, “..In virtù dell’art. 20 comma 8, D.P.R. n. 380 del 2001, il silenzio assenso previsto in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’Amministrazione Comunale e dell’adempimento degli oneri documentali necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre altresì la prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, la conformità dell’intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia” (si veda, T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 15-03-2019, n. 84; T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 25-02-2019, n. 327; T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 17-01-2019, n. 103; T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 07-01-2019, n. 11).
..e con riferimento al condono edilizio
Le superiori coordinate in relazione alla pienezza della domanda avanzata dal privato nei confronti della pubblica amministrazione per il rilascio del permesso di costruire sono state tracciate dalla giurisprudenza anche in relazione al cosiddetto condono edilizi
Come noto, l’articolo 35, comma 17, della legge n. 47/1985 prescrive espressamente che “…decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento”.
Ed invero “il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma solo in virtù dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale e dell’adempimento degli oneri documentali ed economici necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo per il condono del 2003, il fatto che l’immobile ad uso residenziale risulti ultimato, ossia completato al rustico, entro il 31 marzo 2003. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, inclusa la tempestiva ultimazione dell’opera abusiva, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria” (T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 29/10/2018, n. 6350).
L’ illegittimità del provvedimento tardivo di rigetto
Il decorso del termine per la definizione del procedimento di rilascio del titolo edilizio, pari a 90 o 100 giorni (ossia 60 giorni per la conclusione dell’istruttoria più 30 o, in caso di preavviso di rigetto, 40 giorni per la determinazione finale), senza che sia stato opposto motivato diniego, salvo eventuali sospensioni dovute a modifiche progettuali od interruzioni dovute ad integrazioni documentali, intende formato il titolo abilitativo tacito – ex articolo 20, comma 8, D.P.R. n. 380/2001.
In altri termini, con la formazione del silenzio – assenso si consuma il potere di provvedere per l’amministrazione.
Ebbene, sulla questione, T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, 21-02-2018, n. 491 ha affermato che “il provvedimento emesso dopo la scadenza del termine per la formazione del silenzio – assenso deve considerarsi per ciò solo illegittimo” (cfr. T.A.R. Campania Salerno Sez. I Sent., 06-02-2017, n. 210; T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II Sent., 18-11-2016, n. 2259).
I poteri che residuano alla Pubblica Amministrazione dopo la formazione del silenzio – assenso
La formazione del permesso di costruire per l’inutile decorso del termine normativamente prescritto, pur dando luogo all’istituto del silenzio – assenso, tuttavia, non preclude alla pubblica amministrazione l’esercizio del potere di autotutela del titolo edilizio per l’originaria illegittimità del provvedimento (tacito) di accoglimento.
Nel settore edilizio, l’unica norma particolare che si occupa della tematica in esame è l’articolo 39 del Testo Unico che consente alla Regione di annullare entro dieci anni “le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico – edilizia vigente al momento della loro adozione”.
Da altro lato, la norma generale contenuta nell’articolo 21 – nonies Legge n. 241/1990, come novellato dalla Legge 7 agosto 2015, n. 124 prevede l’annullamento d’ufficio del “provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21 octies, comma 2” – ovverosia al ricorrere dei cosiddetti vizi formali non invalidanti.
Ancora prima di illustrare i presupposti fondanti l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio illegittimo, è opportuno evidenziare come l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato che il potere ex articolo 39 del Testo Unico non può dirsi assimilabile o riconducibile, in un rapporto di species a genus, a quello di cui all’articolo 21 – nonies e, dunque, in mancanza di una espressa deroga, si applicano i principi posti dall’articolo 21nonies, il quale è, per espressa previsione di diritto positivo, sottoposto al principio del bilanciamento dei contrapposti interessi di carattere pubblico (concreto ed attuale) e di affidamento ingenerato in capo al privato (in tal senso, Cons. St., A.P., 17 ottobre 2017, n. 8; cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4008).
Segnatamente, l’articolo 21 – nonies, con riferimento ai presupposti che devono sussistere affinché la pubblica amministrazione decreti legittimamente l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo dispone un presupposto rigido, costituito dall’illegittimità dell’atto da annullare e due presupposti, da apprezzare discrezionalmente, ovverosia, “..le ragioni di interesse pubblico”; dall’altro un limite temporale “..ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi”.
La questione che è stata oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale ha riguardato, invero, i presupposti che devono sussistere per l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire.
In particolare, la giurisprudenza si è interrogata in ordine all’obbligo per la pubblica amministrazione di garantire, a fronte di un titolo edilizio illegittimo, le garanzie procedimentali richieste a tal fine dalla L. 241 del 1990, in ordine all’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo.
In tale senso, secondo un orientamento maggioritario espresso da Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691, l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento doveva ritenersi in re ipsa atteso che “Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio, per la sua natura di atto urgente e dovuto, è espressione di un potere strettamente vincolato, non implicante quindi valutazioni discrezionali, ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento. Tale provvedimento, essendo fondato su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti partecipativi del soggetto destinatario, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’Amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive”(in senso conforme, si è successivamente espresso Consiglio di Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3660).
Per converso, un secondo orientamento minoritario riteneva, invece, che “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati, oltre che rispettare il canone del termine ragionevole” (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351; cfr. Cons. Stato Sez. IV Sent., 15-02-2013, n. 915).
La querelle è stata risolta da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 8 in adesione del secondo succitato orientamento affermando che “Nella vigenza dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 – per come introdotto dalla L. n. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole”.
L’Adunanza Plenaria, ha affrontato anche la questione relativa al decorso del termine e al momento della sua decorrenza statuendo che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro”.
Inoltre, con riguardo all’onere motivazionale gravante sull’amministrazione, nel caso in cui sia trascorso un lasso temporale particolarmente ampio l’amministrazione ha un pregnante obbligo di motivare la permanenza dell’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo considerando soprattutto l’affidamento ingenerato nel privato.
Come affermato dalla sentenza in esame “l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo, è possibile anche ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo, ma deve essere adeguatamente motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti”.
Tuttavia, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione “risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del iuspoenitendi)”.
Le suesposte argomentazioni, inducono a ritenere che l’esercizio del potere di autotutela è, dunque, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti.
Potere di autotutela e legittimo affidamento del privato: quid iuris in caso di false ovvero mendaci dichiarazioni e/o attestazioni rilasciate dal privato?
Come noto, il potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di procedere con l’annullamento d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio illegittimo formatosi con silenzio assenso deve essere controbilanciato altresì con il legittimo affidamento riposto in capo al privato in ordine al consolidamento della situazione giuridica soggettiva.
Tuttavia, occorre evidenziare come tale applicabilità trova un limite al ricorrere dei casi in seno ai quali il silenzio – assenso si sia formato per effetto di false o mendaci dichiarazioni depositate dal privato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 20, comma primo, del Testo Unico, atteso che in merito all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi “…si deve tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso instistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dell’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 marzo 2018, n. 1991).
Sotto tale profilo, si reputa opportuno evidenziare come la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la ragione legittimante l’annullamento si rinviene nella esigenza di impedire una edificazione non conforme ai principi urbanistico – edilizi; di talchè “…Gli interessati che abbiano indotto in errore l’Amministrazione comunale al fine di ottenere una concessione edilizia non possono vantare alcun effettivo affidamento incolpevole in ordine alla validità della concessione edilizia medesima. In ogni caso l’emanazione del provvedimento di annullamento in autotutela in un termine ragionevole e tempestivo esclude in radice alcun consolidamento di affidamento” (Cons. Stato Sez. IV, 19-08-2016, n. 3660), al punto che “L’infedeltà della domanda di condono edilizio preclude la formazione del silenzio assenso della P.A. sulla medesima” (ex multis, T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II Sent., 11/07/2017, n. 459).
Difatti, “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” (in tale senso, Consiglio di Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 8).
Efficacia temporale e decadenza dal titolo edilizio formatosi per silenzio – assenso
L’articolo 15 del Testo Unico, dedicato alla “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, prevede che nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
In particolare, attraverso l’esame del comma primo della suddetta norma, si evince che il termine di inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo.
Per converso, il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori.
Con riferimento al momento a partire dal quale i lavori possono dirsi iniziati, la giurisprudenza amministrativa ritiene che l’inizio dei lavori “deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto. Pertanto i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici” (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 settembre 2017, n. 4381; cfr. T.a.r. Basilicata, Potenza, sez. I, n. 701/2014).
Da altro lato, in merito alla decadenza dal titolo edilizio, la giurisprudenza amministrativa ritiene che la medesima non sia automatica ma occorra un atto vincolato ricognitivo dell’amministrazione che accerti il venir meno degli effetti del permesso di costruire (Consiglio di Stato Sez. IV Sent., 28-09-2016, n. 4007; cfr. T.a.r. Liguria, sez. I, n. 904/2014).
Orbene, una recente questione sottoposta al vaglio della giurisprudenza amministrativa di merito ha riguardato l’ammissibilità in capo all’amministrazione del potere di pronunciare la decadenza dal titolo edilizio per mancata attivazione e conclusione dei lavori allorquando il medesimo si sia formato per silenzio – assenso, nonostante le reiterate richieste sollevate dal privato in ordine all’emanazione di un provvedimento espresso.
Ebbene, Tar Bari, sez. II, 20 maggio 2019, n. 725 ha affermato espressamente che “L’amministrazione comunale non può pronunciare la decadenza per mancata attivazione e conclusione dei lavori, in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo, l’emanazione di un provvedimento espresso; non è infatti configurabile la decadenza su un atto tacito “condizionato” alla presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 8, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (completezza documentale ed esclusione da vincoli), che sono suscettibili di vario apprezzamento oggettivo e soggettivo (auto-qualificazione) e, quindi, sono indeterminati ex se nel loro contenuto precettivo”.
Scia condizionata da autorizzazione paesaggistica: riflessi sul silenzio – assensoedilizia
Come noto, per gli interventi edilizi sottoposti a vincoli paesaggistici l’art. 146, D.Lgs. n. 42/2004 e s.m.i., cosiddetto Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, prescrive il procedimento di autorizzazione paesaggistica su parere vincolante rilasciato dal Soprintendente.
Segnatamente, il comma secondo della suddetta norma afferma espressamente che “I soggetti di cui al comma 1 hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.
Ed invero, in tali specifiche ipotesi, l’autorizzazione paesaggistica costituisce “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio”- così come statuito dal comma terzo, primo periodo dell’articolo 146.
Nello specifico, il comma 5, prevede che “Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all’articolo 143, commi 4 e 5. Il parere del soprintendente, all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante ed é reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione”.
Trattasi, pertanto, di un procedimento co-decisorio a cui partecipano diverse pubbliche amministrazioni, che si pone in rapporto di specialità nella sua applicazione rispetto all’articolo 17 – bis della Legge 241 del 1990 – disciplinante, invece, l’ipotesi di silenzio – assenso tra pubbliche amministrazioni, introdotto dalla L. 124 del 2015.
In particolare, per effetto della suddetta disposizione normativa ove l’amministrazione procedente debba acquisire assensi, concerti, nullaosta comunque denominati da parte di altri enti pubblici, questi ultimi devono comunicare il proprio assenso, nulla osta o assenso entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento tranne nelle ipotesi in cui debbano acquisire ulteriori elementi istruttori necessari per poter meglio ponderare la fattispecie (adeguatamente motivate), nel qual caso il termine di cui sopra è interrotto e ricomincia a correre dalla ricezione degli elementi istruttori, senza ulteriori dilazioni temporali.
Pertanto, in ossequio alla normativa succitata, una volta decorsi inutilmente tali termini, entra in gioco l’istituto del silenzio assenso, di modo che nulla osta o l’assenso si intende (tacitamente) acquisito.
La questione che recentemente è stata oggetto di un’attenta riflessione da parte di Corte Cass. pen. 09/04/2019, n. 15523, è se l’autorizzazione paesaggistica prevista per la realizzazione di opere edilizie in aree sottoposte a vincolo, e per le quali è necessaria la segnalazione certificata di inizio di attività, possa intendersi rilasciata per effetto del silenzio della Pubblica Amministrazione competente.
In particolare, nella fattispecie sottoposta al vaglio del Supremo Collegio, l’intervento edilizio da attivare constava di una Scia edilizia “condizionata” dal previo rilascio di un atto presupposto, costituito dall’autorizzazione paesaggistica.
Ebbene, la Corte ha risolto in senso negativo la questione inerente la possibilità di superare con silenzio-assenso il mancato rilascio di un’autorizzazione paesaggistica da intendersi quale atto presupposto di una Scia.
A sostegno, la sentenza ha argomentato con riferimento all’art. 20, comma 8, modificato da ultimo ad opera del D.Lgs. n. 127 del 2016, nella parte in cui si prevede che decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 14 e seguenti.
In particolare, il Supremo Consesso ha evidenziato come “in tema di tutela del paesaggio, il provvedimento autorizzatorio previsto dalla legislazione di settore deve avere forma espressa, atteso che il silenzio dell’amministrazione proposta alla tutela del vincolo non può avere valore di assenso stante la necessità di valutare da parte della p.a. equilibri diversi e tenere conto del concorso di competenze statali e regionali. Identiche conclusioni, inoltre, sono state affermate anche con riferimento alla definizione di pratiche edilizie mediante sanatoria”.
Anche la giurisprudenza pregressa appare orientata in questo senso.
Difatti, Cass. civ., Sez. III, 28 maggio 2004, n. 38707, ha affermato che “in tema di tutela del paesaggio, il provvedimento autorizzatorio previsto dalla legislazione di settore deve avere forma espressa, atteso che il silenzio dell’amministrazione proposta alla tutela del vincolo non può avere valore di assenso stante la necessità di valutare da parte della p.a. equilibri diversi e tenere conto del concorso di competenze statali e regionali”.
Riferimenti normativi:
articolo 20, comma 8, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
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