L’attività del mediatore immobiliare è sempre più diffusa nel nostro contesto socio-economico, vi è da dire, tuttavia, che il suo corretto inquadramento presenta non pochi problemi dal punto di vista strettamente tecnico – giuridico.
In primo luogo, infatti, non è chiaro se l’attività dei c.d. agenti immobiliari integri o meno i requisiti del contratto.
L’affermazione, che potrebbe all’apparenza apparire quasi paradossale, in realtà ha perfettamente ragioni di porsi come è ben possibile comprendere da una lettura del disposto dell’art. 1754 c.c. che mai definisce il contratto limitandosi ad affermare che “E’ mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
Per lungo tempo la dottrina, seguita dalla giurisprudenza, ha ritenuto che tra le parti del rapporto giuridico in esame si perfezionasse un vero e proprio contratto tipico (sebbene si discutesse in merito alla sua eventuale natura plurilaterale); ciò fino a quando, sulla scorta di autorevoli sollecitazioni dottrinarie, la Nomofilachia [Cass. civile, sez. III del 1991 numero 11384] ha accolto la c.d. tesi non contrattuale: la mediazione viene inquadrata tra gli atti giuridici in senso stretto ai sensi dell’art. 1173 c.c. con la conseguenza che gli effetti giuridici del mettere in relazione le parti sono legali e non hanno origine nella volontà dei soggetti coinvolti: ciò ha come logico corollario, che il mediatore ha diritto alla provvigione anche se le parti abbiano espressamente dichiarato di non voler stipulare alcun contratto e tale diritto, di fonte legale, sorge in virtù del semplice fatto di averle messe in relazione.
A ciò si aggiungono tutti i casi, puntualmente enucleati dalla giurisprudenza negli anni, in cui possa ritenersi concluso l’affare al di là dell’ipotesi tipica della stipula di un successivo contratto di vendita.
Vi è, tuttavia, un caso del tutto peculiare in cui al mediatore immobiliare non è dovuta alcuna provvigione.
Il d.lgs. n. 59/2010, infatti, innovando la disciplina previgente stabilisce oggi che i mediatori sono soggetti esclusivamente a presentare una dichiarazione di inizio attività presso la Camera di Commercio che ha il compito di verificare il possesso dei requisiti.
Ebbene, nell’ipotesi in cui il mediatore non abbia adempiuto a tale onere, egli non può pretendere alcun compenso neppure facendo ricorso alla azione generale di arricchimento senza giusta causa.Anzi, essendo tenuto alla restituzione di quanto eventualmente ricevuto, non è esperibile, nei suoi confronti né l’azione di indebito oggettivo né tantomeno è configurabile a suo vantaggio una obbligazione naturale.
Di recente tale principio è stato esteso anche con riferimento alla mediazione continuativa e professionale avente ad oggetto beni mobili dalla sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n. 19161/2017.
Nel caso di difetto di tale prescritto requisito legale la parte può chiedere vittoriosamente in giudizio la restituzione di quanto versato a titolo di provvigione.
Avv. TOMMASO GASPARRO
– Studio Legale Gasparro –
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