Giu 14, 2019 | Edilizia, Le nostre News

Immobile demolito per assenza di concessione edilizia: responsabile il notaio che non ha approfondito.

Immobile demolito per assenza di concessione edilizia: responsabile il notaio che non ha approfondito.

Sebbene il notaio rogante un atto di compravendita immobiliare non sia normativamente tenuto a verificare la verità intrinseca della dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dall’alienante, in luogo degli estremi della licenza edilizia, tuttavia, qualora dagli atti acquisiti emergano anomalie, lo stesso deve approfondire gli aspetti equivoci mediante un supplemento di indagine, con prospettazione di tali rilievi alle parti e richiesta di chiarimenti. È quanto precisato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 6612/201Il caso sotteso alla pronuncia in commento attiene a un’interessante questione giuridica pregna di notevoli risvolti sotto il profilo della responsabilità contrattuale addebitabile al notaio rogante un atto di compravendita immobiliare.

Nello specifico, la Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado che dichiarava il detto professionista inadempiente al contratto di prestazione d’opera per aver rogato un atto di compravendita, avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo, nell’ambito del quale aveva omesso di rilevare che la data di costruzione dello stesso era successiva all’1.09.1967 e che difettava della concessione edilizia, ragion per cui era stata ordinata la demolizione del manufatto ex artt. 31 e ss. del D.P.R. n. 380/2001. In particolare, il giudice di seconda istanza rilevava l’esistenza di molteplici e anomali indizi, emergenti dalla documentazione acquisita, che avrebbero dovuto indurre il notaio a dubitare circa l’effettiva data di costruzione della res de qua. Conseguentemente, veniva confermata la condanna del notaio al risarcimento del danno subito dagli acquirenti del detto immobile e rigettata la richiesta, avanzata dai medesimi con appello incidentale, volta a ottenere anche il maggior danno.

Ebbene, avverso siffatta decisione proponeva ricorso per cassazione il predetto professionista lamentando: la statuizione dell’impugnata sentenza che ne afferma la negligenza nella condotta professionale, giacché asseritamente non tenuto a verificare la verità sostanziale della dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la quale la parte alienante aveva asseverato, sotto la propria responsabilità, che l’immobile oggetto della compravendita era stato realizzato in data anteriore all’1.09.1967; nonché l’inesistenza, sia in base alla legge che in virtù del contratto d’opera professionale, di un obbligo di verifica incombente sullo stesso circa l’accertamento della corrispondenza di quanto dichiarato dall’alienante rispetto alla reale situazione urbanistica dell’immobile.

Ciò posto, giova preliminarmente evidenziarsi che, in tema, di rilievo risulta l’art. 40, comma 2, della legge n. 47/1985, alla stregua del quale gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’art. 35. La citata disposizione prosegue, poi, precisando che per le opere iniziate anteriormente all’1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 della legge n. 15/1968, ove si attesti che l’opera risulti iniziata anteriormente all’anzidetta data.

Ebbene, ciò che viene rilevato dalla Corte territoriale è che, nell’ipotesi in cui dagli atti e documenti acquisiti emergano difformità, contraddizioni o semplici anomalie, incombe sul notaio il compito di espletare, in ossequio al pacifico orientamento sul punto della giurisprudenza di legittimità, le attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito, essendo peraltro lo stesso tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., nonché della buona fede. In tali casi, difatti, il notaio rogante <<è tenuto ad approfondire tali aspetti equivoci mediante un supplemento di indagine che può anche esaurirsi nella chiara prospettazione alle parti contraenti degli elementi rilevati e nella acquisizione dalle stesse delle informazioni e chiarimenti necessari a risolvere il dubbio.>>. Tanto viene posto in risalto dalla Cassazione nell’ordinanza oggetto di disamina in quanto nel caso di specie la Corte territoriale aveva accertato che dai documenti acquisiti emergevano dati contrastanti, ossia: dall’atto di provenienza e dalle visure ipocatastali il bene veniva indicato quale “terreno”; in alcune dichiarazioni del 2004 sottoscritte da alcuni proprietari di fondi limitrofi, invece, veniva asserito che trattavasi di fabbricati rurali (nella specie: stalla, magazzino e fienile) esistenti da oltre 40 anni; da una DIA presentata in data 01.12.2005, invece, veniva asseverata l’esistenza di un “fabbricato” già nell’anno 1942; infine, dal preliminare datato 23.5.2005 e dalla scrittura privata autenticata di compravendita di qualche mese dopo veniva fatto riferimento a una “casetta unifamiliare con dieci vani catastali”. Da quanto precede, emerge chiaramente che, per come rilevato dalla Corte territoriale, effettivamente vi erano delle anomalie in relazione al bene oggetto della compravendita di che trattasi, oltre che con riferimento alla data di costruzione dello stesso.

Deve, peraltro, rimarcarsi che la data di realizzazione dell’immobile, stante il disposto di cui all’art. 40, comma 2, della legge n. 47/1985, riveste una notevole importanza nella presente fattispecie in quanto solo con riferimento a un bene realizzato prima dell’1.9.1967 ai fini della validità dell’atto di trasferimento immobiliare è sufficiente la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000.

Si comprende, quindi, il motivo per il quale le doglianze formulate nel ricorso per cassazione venivano travolte da declaratoria di inammissibilità poiché non coglievano, secondo la Suprema Corte, la “ratio decidendi” dell’impugnata pronuncia.

La Cassazione, infatti, ha, per come già sopra precisato, rilevato che dai dati “anomali” risultanti negli atti acquisiti, era dato trarre il convincimento che il ridetto notaio non avesse impiegato la dovuta diligenza qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c., nell’esecuzione della propria prestazione contrattuale. Prive di rilievo si appalesavano, difatti, le argomentazioni di parte ricorrente incentrate: sulla possibilità di produzione della dichiarazione sostitutiva; sulla circostanza che non ricorresse – nella specie – l’obbligo di accatastamento al N.C.E.U. degli immobili rurali ai sensi della disciplina di cui al D.L. n. 201/2011 convertito in legge n. 214/2011; nonché l’asserita assenza di un obbligo di verifica, discendente dalla legge o dal contratto d’opera professionale, in ordine all’accertamento della veridicità del contenuto dell’anzidetta dichiarazione. All’uopo, la Corte rilevava infatti come le ridette “anomalie” nella descrizione dell’immobile de quo fossero evidenti e, quindi, conoscibili, oltre che conosciute dal professionista stante la diligenza qualificata richiestagli nell’adempimento della propria prestazione professionale, atteso, peraltro, che il difetto di diligenza riscontrato nel caso in esame opera interamente all’interno della verifica dei dati consentita dai documenti che il professionista aveva a disposizione.

Conseguentemente, stante il contenuto delle doglianze mosse dal ricorrente, condivisibile risulta la declaratoria di inammissibilità della proposta impugnazione statuita dalla Suprema Corte.

Riferimenti normativi:

art. 1176, comma 2, c.c.

D.L. n. 201/2011

artt. 31 e ss. del D.P.R. n. 380/2001

art. 40, comma 2, legge n. 47/1985

art. 4, legge n. 15/1968

Cassazione civile, Sez. III, ordinanza 7 marzo 2019, n. 6612

9.

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